E non abbandonarci alla tentazione
Il consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, riunito a Roma, ha deciso di convocare dal 12 al 14 novembre un’assemblea straordinaria dei vescovi per discutere ed approvare la terza edizione del Messale Romano

«E non abbandonarci alla tentazione» anziché «non ci indurre». A fine anno cambierà anche nelle chiese italiane la traduzione del Padre Nostro. La Cei aveva già adottato la nuova versione nell’edizione della Bibbia del 2008. Ma il cambiamento della versione italiana non era ancora entrato nella liturgia. Il consiglio permanente della Cei, riunito a Roma, ha deciso di convocare dal 12 al 14 novembre un’assemblea straordinaria dei vescovi per discutere ed approvare la terza edizione del Messale Romano, all’interno del quale sarà contenuta la nuova traduzione della preghiera più importante dei cristiani.

Questa è una traduzione non buona», aveva spiegato il Papa. «Sono io a cadere, non è Lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto. Un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito. Chi ci induce in tentazione è Satana, è questo il mestiere di Satana». Il Papa aveva del resto citato la nuova versione Cei del 2008, «non abbandonarci alla tentazione». Con l’approvazione del nuovo messale, passerà all’uso liturgico e quindi verrà recitata nelle chiese. A dicembre dell’anno scorso, da ultimo, era successo lo stesso in Francia, dove nelle chiese si è cominciato a dire «ne nous laisse pas entrer en tentation». Ai fedeli erano stati distribuiti foglietti con il nuovo testo.

Il problema è come rendere quella voce verbale che si legge nel testo originale greco del Vangelo di Matteo (6,13), riferimento della tradizione liturgica: eisenénkes, dal verbo eisféro, che per secoli è stato tradotto con l’«inducere» latino della Vulgata di San Girolamo, da cui l’«indurre» italiano. Perché è Satana che ci induce in tentazione, aveva spiegato Francesco: «Il senso della nostra preghiera è: “Quando Satana mi induce in tentazione tu, per favore, dammi la mano, dammi la tua mano”. È come quel dipinto in cui Gesù tende la mano a Pietro che lo implora: “Signore, salvami, sto affogando, dammi la mano, dammi la tua mano!”».

di Gian Guido Vecchi